Raniero La Valle
“La verità del referendum” tenuto il 15
novembre 2016 a Vicenza
La Corte Costituzionale ha affermato
che ci sono dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione, che non
possono essere sovvertiti o modificati nemmeno da leggi di revisione
costituzionale. Questi principi supremi affermati soprattutto nella prima parte
della Costituzione sono in gioco nella seconda, che ne dovrebbe garantire
l’attuazione; ma proprio questi sono ora disattesi o traditi nella riforma
sottoposta al voto popolare del 4 dicembre.
La sovranità popolare
I - Il primo principio, che sta
scritto all’inizio della stessa Costituzione, è quello della sovranità
popolare. Dice l’art. 1: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Questo principio è il fondamento
di tutta la Costituzione. In rapporto ad
esso la Costituzione sta o cade.
La statuizione di questo principio è
frutto di secoli di lotte, è costata lacrime e sangue, ed è il punto di svolta
della storia dai regimi assoluti a ordinamenti di libertà. Passare dalla
condizione di sudditi a quella di sovrani, cambia infatti la vita, cambia il
destino delle persone e dei popoli.
Che la sovranità sia di uno solo, di
un monarca o di tutti, è decisivo anche per l’alternativa suprema, che è quella
tra la guerra e la pace. Quando, più di un secolo fa, nel settembre 1911
l’Italia dichiarò guerra alla Turchia per prendersi la Libia, dando inizio a
quel conflitto con l’Oriente e con l’Islam che dura ancor oggi, tutto avvenne
in segreto e come se niente fosse, col Re che era in vacanza a San Rossore,
Giolitti che se ne stava a Dronero e il Parlamento che era chiuso per ferie. Nel
1944 quando nel radiomessaggio del sesto Natale di guerra Pio XII fece la storica
scelta a favore della democrazia disse che forse, se avessero avuto la
democrazia, i popoli avrebbero potuto impedire la guerra. Nel 1969 un popolo di sovrani in America e nel mondo diede
vita a un grandioso movimento pacifista che poi costrinse gli Stati Uniti a
ritirarsi dal Vietnam e a porre fine a quella guerra. Ciò mostra l’importanza
del principio della sovranità popolare.
Ora questo principio supremo è
violato nella proposta di Costituzione sottoposta a referendum in molteplici
modi.
Prima di tutto il Senato, che
continuerà ad avere vastissime competenze legislative e politiche, non sarà più
eletto dal popolo; esso sarà designato, checché dica il documento firmato da
Cuperlo, da 904 consiglieri regionali,
cioè da politici appartenenti alla nomenclatura e ai partiti che comandano
nelle Regioni.
In secondo luogo la sovranità
popolare è violata dalla elevatissima distorsione del rapporto di
proporzionalità tra i voti espressi dal popolo e i seggi attribuiti, a causa
della legge elettorale maggioritaria oggi vigente che trasforma in modo
ineguale i voti in seggi; si dice che sarà cambiata ma intanto la riforma si
vota con quella.
Il principio della sovranità
popolare è violato inoltre dalla dissuasione dalla partecipazione politica (un
manifesto del PD prometteva, in cambio del Sì al referendum, la diminuzione dei
“politici”).
E poi c’è il fatto che una volta
eletto il primo ministro con tutti i suoi deputati, per il popolo sovrano non ci sarà più niente
da fare per cinque anni, essendo artificialmente assicurato un governo di
legislatura, e dunque i cittadini perdono di cinque anni in cinque anni il
diritto sancito dall’art. 49 della Costituzione di concorrere a determinare la
politica nazionale.
Inoltre è violato il principio che
la sovranità popolare si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione,
perché tra queste forme e questi limiti la Costituzione prevede che il popolo
non elegga direttamente il presidente del Consiglio, ma che questo sia nominato
dal presidente della Repubblica; invece secondo la legge elettorale connessa alla
riforma costituzionale “il capo della
forza politica” che vince le elezioni e ottiene il premio di governabilità è
automaticamente, la sera stessa, acclamato come presidente del Consiglio, anche
se il presidente della Repubblica che secondo la Costituzione lo dovrebbe
nominare, sta dormendo.
Ma
la lesione più grave del principio di sovranità consiste nel portare a
compimento quel passaggio della sovranità dal popolo ai mercati che da tempo ci
chiedono la Trilaterale, Gelli, la banca Morgan, l’Europa, gli ambasciatori americani:
una riforma che appunto, come oggi si dice, era attesa da trent’anni e che
neanche Berlusconi era riuscito a realizzare. Ma questo transito della
sovranità dagli uomini ai mercati, è precisamente ciò che depreca il papa
quando denuncia la bancarotta di una società in cui il denaro governa invece di
servire e in cui vengono salvate le banche ma non le persone.
Il lavoro come
fondamento della Repubblica
II – Il secondo principio supremo, che figura nello stesso incipit della Costituzione, è il
principio lavorista, perché’ l’Italia è concepita come una Repubblica fondata
sul lavoro. È un principio straordinario che attua il rovesciamento cristiano
del servo in signore. Il lavoro che era la schiavitù addossata al servo, è ora
riconosciuto come la dignità stessa dell’uomo. Questo principio, insieme con
l’art. 4 che riconosce il diritto al lavoro e prescrive alla Repubblica, cioè
alla politica, di renderlo effettivo, fa sì che siano costituzionalmente
obbligatorie politiche di piena occupazione. La piena occupazione non è
un’opzione facoltativa, una variabile dipendente dalle scelte ideologiche dei
governanti, è un obbligo costituzionale, è ciò che la Repubblica, secondo la
Costituzione, non può non fare.
Ma questo è impedito dall’art. 117
della nuova Costituzione che ribadisce in modo ancora più stringente il vincolo
già previsto nel testo oggi vigente, stabilendo che la potestà legislativa è
esercitata nel rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione
Europea” (prima si parlava con minore precisione di “comunità europea”). Ma
l’ordinamento dell’Unione Europea è un ordinamento che trasforma in regime la
scelta economica neo-liberista e l’ideologia della sovranità dei mercati. Esso tutela
la competizione e la concorrenza in quello che chiama il “mercato interno”, che
sarebbe poi la stessa Europa, e all’art. 107 proibisce gli aiuti concessi dagli
Stati o il trasferimento di risorse statali alle imprese, cioè proibisce
l’intervento dello Stato nell’economia, sotto pena di una condanna da parte
della Commissione europea o di un giudizio davanti alla Corte di giustizia
europea.
Ciò vuol dire, tra le altre
cose, che politiche di piena occupazione, che sarebbero costituzionalmente
dovute, sono costituzionalmente proibite da questa seconda parte della Carta
che vincola la legislazione ai diktat europei.
E proprio qui c’è il punto
di caduta finale della nuova Costituzione. Essa modifica la forma di Stato,
perché svuota il sistema delle autonomie restaurando il centralismo statale;
modifica la forma di governo perché trasforma il governo parlamentare in potere
monocratico elettivo di legislatura, come quello dei sindaci, e perciò in un
premierato mascherato; modifica i compiti e i fini della Repubblica, perché
come dice la relazione che accompagnava il disegno di legge di riforma
Renzi-Boschi, l’obiettivo è di adeguare la Repubblica “alle nuove esigenze
della governance europea e alle
relative stringenti regole di bilancio”; e queste tre modifiche della forma di
Stato, della forma di governo e dei fini della Repubblica nel loro insieme
portano a compimento il lungo processo, cominciato già qualche decennio fa, di
trasferimento della sovranità dal popolo ai mercati.
Una democrazia
parlamentare
III – Il terzo principio fondamentale che è tradito dalla riforma è quello
per il quale la nostra non è una democrazia dell’investitura, ma è una
democrazia parlamentare. Nella democrazia parlamentare l’architrave di tutto il
sistema è l’istituto della fiducia, perché è grazie alla fiducia del Parlamento
che il governo può sorgere, ed è a causa della perdita della fiducia che un
governo può cadere, come è giusto che sia se un governo, a giudizio della
maggioranza parlamentare, invece del bene comune produce un male comune.
Ma la riforma attacca e
sostanzialmente distrugge l’istituto della fiducia che non sarà più la fiducia
del Parlamento, perché a metà del Parlamento, che resta bicamerale, cioè al
Senato, questo potere viene tolto; e quanto alla fiducia che resterà nel potere
della sola Camera, essa non sarà più una fiducia parlamentare, ma un atto
interno di partito, perché un solo partito, il cui segretario o il cui capo
sarà il presidente del Consiglio, grazie alla legge elettorale disporrà di 340
voti alla Camera, sicché la fiducia sarà non il frutto di una valutazione
politica, ma una atto dovuto per disciplina di partito.
Per cui ci sarà, almeno
formalmente, una democrazia, ci sarà un Parlamento, ma non ci sarà più una
democrazia parlamentare.
Il ripudio della
guerra
IV – Il quarto principio supremo tradito dalla riforma è il principio
pacifista, per il quale l’Italia ripudia la guerra, ogni guerra che non sia
quella corrispondente al “sacro dovere” della difesa della Patria, inteso come
popolo e territorio. Tale principio avrebbe dovuto semmai avere maggior tutela,
dopo che il Nuovo Modello di Difesa varato nel 1991, ha spostato i confini fino
ai pozzi di petrolio, alle dighe e ai popoli del Medio Oriente e la patria è
stata identificata con gli interessi economici dell’Occidente da difendere
anche militarmente in tutto il mondo globalizzato.
Invece la riforma rende più
facile e mette in mano ad una sola persona la scelta della deliberazione di
guerra, dalla quale il Senato, cioè mezzo Parlamento, è proprio quello che
secondo i riformatori dovrebbe più direttamente rappresentare le popolazioni
locali, è tagliato fuori; la semplificazione che dà più estesi e più facili
poteri al presidente del Consiglio funzionerà anche per la decisione
sull’impiego delle Forze Armate e sulla guerra, e la sovranità popolare sarà
completamente esclusa dalla decisione sulla pace e sulla guerra.
Il principio
internazionalista
V – Il quinto principio supremo abbandonato nella riforma è il principio
internazionalista, perché in tutte le nuove norme che riguardano la formazione
e l’attuazione delle prescrizioni dell’Unione Europea non c’è il minimo accenno
ad una intenzione riformatrice degli stessi Trattati Europei per guardare al di
là dell’Europa ai fini della costruzione di un ordine di pace e di giustizia
fra le Nazioni.
Inoltre non c’è il minimo
accenno a una riforma del diritto di asilo e a un’accoglienza degli stranieri e
dei migranti secondo le nuove dimensioni del fenomeno che secondo alcune stime
arriverà a coinvolgere 250 milioni di profughi, di fuggiaschi, di rifugiati
nell’anno 2050.
Né c’è il minimo accenno
all’ultima discriminazione che una Costituzione democratica dovrebbe abolire:
la discriminazione della cittadinanza, la quale limita i diritti fondamentali e
l’esercizio dei diritti politici e sociali ai soli cittadini, con l’esclusione
degli stranieri. Una vera riforma del Senato sarebbe una riforma che non ne facesse
l’ultima trincea dei vecchi localismi, ma ne facesse un Senato dei popoli, dove
sedessero i rappresentanti non solo dei cittadini, ma delle persone di tutte le
nazioni, le lingue e le culture che abitano in Italia e dormono sotto il suo
cielo.
Raniero La Valle
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